Inevitabile

 È inevitabile. Se ora ti taglierai quella vena, lì, sul polso, morirai. Non sono io a dirlo, ma tutta la storia medica ancor prima di Ippocrate, e prima ancora la naturale biologia del tuo corpo. Vedrai, ti direi di provare ma poi non avresti modo di renderti conto che avevi torto ed io ragione. Solo per quello, è una questione di principio. Sei sempre stata così, hai sempre voluto aver ragione, anche quando ce l’avevi per davvero. Ed io, paziente, non te l’ho mai fatto notare con arroganza o violenza. Dovevi capirlo da sola. È così che le persone interiorizzano bene i pragmatismi. Le nozioni fondamentali pratiche della vita e della convivenza. Chi sono io, con tutti i miei pregi che diventano difetti e viceversa, per poter dare consigli? No. Dovevi capirlo da sola, ed anche ora non mi permetto di dirti nulla, anche ora che ti stai per piantare quel coltello nella vena, appena al di sotto del tuo osso semiulnare, fra l’ulna e il radio. Scusami… Non è una questione di principio. Non volevo dirlo. È che ho paura, non voglio che tu ti uccida. Non farlo. Non eri così. Non eravamo così. E allora che cosa si è rotto? Ricordo di quando si stava semplicemente bene e la gravità si quantificava in piume… poi, per chissà quale motivo, alle piume è apparso un filo. Un filo la cui origine era invisibile ma che si muoveva condizionando così il moto di ogni singola penna che scendeva e saliva secondo l’umore di quella forza improvvisa.. Poi, ad una ad una le piume hanno cominciato a mutare trasformandosi in ami da pescatore e non scorrevano più sui nostri corpi, fluide e leggere, ma infilzandosi, strappandoci pezzettini di carne. C’erano ami piccoli, il cui dolore era fastidioso e acuto, come il morso di una formica. Per quelli più grandi c’erano le nostra urla a fare da terreno fertile ai rovi nati dal sangue. E lì, fra spine e ami, in quell’atroce teatrino di burattini, ci contorcevamo tenendoci stretti per non perderci. Ecco, questo è stato. E tutt’ora non riesco a trovare il punto di rottura. Cosa ha fatto apparire il primo filo, cosa ha trasformato la piuma in amo. Stiamo male e vomitiamo petrolio. Non mescolare quel petrolio al sangue che perderai, se solo, con quel coltello, premerai più forte sul tuo canale sanguigno. Possiamo ritrovare noi stessi, e poi, magari, anche noi. Ma ora, ti prego, posa quel coso, non ti servirà a nulla. Vorrei che tu potessi vederti dall’esterno per capire che c’è più aria di quella che ora hai dentro te. Per capire che non può finire così, ma che puoi ancora essere felice. Non farlo. Ti prego. Non abbandonarti. Non farlo. Ti prego. Tutto muta e cambia, nulla rimane statico. Anche il dolore. Il giorno in cui passerà te ne accorgerai. Anche questo è inevitabile. Ti parlo col cuore dolente e spaccato in mano. E’ un melagrano rotto. Perde i suoi semi. Li calpesto con i piedi nudi e soffro per le punte avvelenate che nascondono al loro interno. È una tossina potente che brucia, fa sputare spasmi, porta il nome di tutta la nostra storia. Non solo quella che abbiamo in comune, ma tutto ciò che di individuale abbiamo vissuto fino a prima di incontrarci, e poi dopo. Dal nostro principio fino a questo momento. Li senti? Gli orologi non ticchettano più. Stanno fermi a guardarci. Hanno paura. Li vedi? Le macchine non si muovono, gli uccelli stanno fermi in aria e la folla tace, finalmente. E fuori è notte. Guarda! C’è persino un fulmine, lì, vicino a quel palazzo arancione. E’ immobile. Il mondo si è fermato. La nostra galassia, la materia oscura, la polvere interstellare che gravita più in là dei quasar. Tutto è fermo, ti guardano. Sperano che tu posi quell’affare. Tutto ha paura. Non riesci a vedere? È così palesemente davanti-dietro-sopra-sotto-dentro te. Capisci? Se ti uccidi porrai fine a un universo intero. A tutti gli universi paralleli che esistono oltre l’infinita radiazione cosmica di fondo. E con te, con tutto questo, morrò anche io portandomi dietro un infinità di altri infiniti universi. Sarebbe il più grande genocidio della storia cosmica. Non possiamo permettere che accada. Non puoi. Sì, piangi. Lascia uscire il petrolio, quel cancro fetido che ti porti dentro e che ti ha corroso fino a questo punto. Lascia che esca. Tutto, fino all’ultima centesimale goccia. Sì, brava, stai già guarendo, non lo senti? Non è una sensazione meravigliosa riuscire a vomitare il male? Certo, l’esofago ti brucerà un po’ ma non esiste cura che non comporti un po’ di dolore. Ecco, si, brava, ne avevi tanto dentro. Prenditi il tempo di cui hai bisogno. Questo, se desideri, lo prendo io. La scelta è tua.

Grazie.

Posso abbracciarti, o vuoi che ti lasci in pace? Posso? Stai già meglio, e andrà sempre meglio. Comincerai a sentirti bene e dopo che questo lago di catrame sarà solo un ricordo, dopo che il livido comincerà a schiarirsi ricomincerai a ballare. E ballerai meglio di come tu abbia mai fatto in vita tua perché avrai riscoperto la leggerezza. Tu sei una ballerina. E allora mi piacerebbe portarti al mare. “Possiamo? Lo facciamo? Un giorno, molto presto, partiremo insieme soltanto tu ed io. Possiamo? Lo facciamo? Un giorno ci daremo malati e andremo al mare e staremo mano nella mano tutto il giorno. Possiamo? Lo facciamo? Mangieremo i nostri panini sul treno e ubriacandoci di aria fresca torneremo a casa stanchi, e non lo diremo mai a nessuno… Sempre.”

Inevitabile, Antony Risi – Rob Ryan

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